venerdì 17 aprile 2015

Convegno 17.04.15 - Valorizzare la responsabilità per uscire dalla povertà: verso un nuovo modo d'intendere l'assistenza sociale.





Nel suo saluto il sindaco Paolo Menis ha spiegato che il convegno ha l’obiettivo di orientare ad un cambiamento per un nuovo modo d’intendere i servizi sociali. La necessità è resa urgente dalla crisi economica che allarga la platea degli interventi e la contemporanea riduzione delle risorse.

Daniela Vidoni richiamandosi al Lessico sturziano ha ricordato che per Sturzo il solidarismo non è un mezzo momentaneo per risolvere i problemi dei poveri, ma una risorsa sociale da investire per la promozione degli ultimi. La povertà va pensata come energia positiva che fa crescere la persona e la società perché esperienza di ricerca, di condivisione, di completamento che si attua attraverso relazioni positive. Inoltre la povertà è prodotta da un cattivo funzionamento di alcuni soggetti della società come la politica e l’economia . Come fare giustizia? Sturzo identifica il concetto di giustizia con la moralità, con una coscienza etica ben formata che fa pensare la politica e l’economia a partire dalla morale  e non dalla sua esclusione come sta avvenendo. Sturzo ha sempre messo in evidenza che la centralizzazione dello Stato post unitario allargando sempre di più di più le attività pubbliche, rende i cittadini succubi della classe burocratica.   Questo genera un potere irresponsabile perchè molto frazionato ed improntato ad un’analisi esasperante e frammentata che impedisce di arrivare ad una sintesi e fa perdere il senso della realtà della vita sociale nel suo svolgersi e nella sua attualità.

Oliviero Motta ha sottolineato che le misure nazionali di contrasto alla povertà sono eccessivamente frammentate e con interventi quasi esclusivamente di natura monetaria che non  favoriscono il recupero sociale e l’attivazione individuale. Sarebbe giusto che la riscossione di diritti individuali corrispondesse  a doveri di solidarietà perché quello che si riceve possa servire ad aiutare anche altri. E’ quindi necessario un  nuovo welfare comunitario che collochi la comunità locale al centro del sistema. Comunità intesa come attivazione di persone intorno a luoghi che generano relazioni capaci di produrre risposte concrete alle condizioni di difficoltà dei cittadini e li aiutino ad affrontare i momenti di crisi facendo ricorso anche alle loro  energie  e competenze .

Paolo Zenarolla  ha osservato che la  capacità della persona di reazione al bisogno dipende anche dal livello di inserimento della stessa in una comunità come era naturale nella nostra società friulana. Non è la stessa cosa sostituire le relazioni  di comunità con la tecnocrazia dell’assistenza sociale come risposta ai bisogni. L’elemento su cui lavorare è la comunità, che va intesa come luogo in cui si realizza la persona. In una comunità  le persone vivono anche le situazioni di crisi con naturalezza in quanto le povertà sono accolte, riconosciute e sostenute verso esiti di uscita, ma questi legami vanno costruiti prima che nascano  i bisogni. E’ necessario rileggere i percorsi che hanno regolato i corpi intermedi alla luce della necessità di ricostruire legami comunitari. Gli strumenti di aiuto vanno ripensati favorendo la partecipazione alla vita pubblica attraverso la vita comunitaria. Purtroppo le nuove leggi sul welfare sono vanificate dalle procedure burocratiche per cui si ha difficoltà a lavorare e molte persone a cui sono dirette non sono raggiungibili.

sabato 11 aprile 2015

Convegno 17.04.15 - Valorizzare la responsabilità per uscire dalla povertà: verso un nuovo modo d'intendere l'assistenza sociale.



Il convegno si svolgerà il 17.04.15 alle 20.30 presso la Biblioteca Guarneria in via Roma 1 a S. Daniele del Friuli.
Il relatore Oliviero Motta è operatore sociale e giornalista pubblicista. Dal 1991 è impegnato professionalmente nel terzo settore. È vicepresidente della cooperativa sociale Intrecci,
aderente al Consorzio Farsi Prossimo di Milano.Scrive per “ Rocca” e “ Welfare oggi”.
Inrerverrà il dr. Paolo Zenarolla direttore della Caritas dell'Arcidiocesi di Udine.

Per approfondimenti sul programma:
http://www.centrosturzo.fvg.it/Anno2015_CicloLessicoSturziano_Convegno170415.aspx


Convegno 18.03.15 - S. Daniele - Vivere la vita per non morire da soli




Il 18 marzo a San Daniele si è tenuto il convegno” Vivere la vita per non morire soli” organizzato dal Centro Internazionale Studi Luigi Sturzo di Udine in collaborazione con il Comune di San Daniele e la CISL di Udine. Nel saluto iniziale il sindaco Menis  ha  sottolineato che la nostra società si sta interrogando  sul fine vita, ma il tema della serata è stato impostato in maniera diversa perché intende focalizzare come vivere la vita per non morire soli. Gli aspetti su cui è necessario riflettere sono due: il primo come  deve essere lo stile di vita dell’uomo e l’altro è la qualità del fine vita.  Ogni persona con il passare degli anni  s’interroga su questi aspetti che rimandano alle domande: chi siamo, dove andiamo, cosa lasciamo? Nell’introduzione Daniela Vidoni responsabile del CISS ha messo in evidenza  che Sturzo riteneva importante e  urgente formare la coscienza cristiana perché la vedeva a fondamento della vita della nazione. Egli ha posto la persona, intesa  come essere in relazione,  alla base della vita sociale. Oggi l’uomo si concepisce  come individuo  autosufficiente e questo porta a vivere e morire soli. Il  tema della serata  è stato sviluppato dal prof. don Franco Gismano, docente di Dottrina Sociale della Chiesa all’ISSR di Udine e poi arricchito dall’esperienza della Dr.ssa Paola Ponton psicoterapeuta e psicologa responsabile del coordinamento per l’etica nella pratica clinica dell’ospedale di San Daniele e dei distretti sanitari di San Daniele e  Codroipo. Don Gismano ha spiegato che il termine persona è teologico perché solo Dio è persona in quanto  è relazione e l’uomo essendo creato a sua immagine e somiglianza è un  soggetto la cui vita assume un senso attraverso la relazione con Dio e gli altri.  Ha lanciato alcune provocazioni per far riflettere su diversi luoghi comuni che vengono presi per verità. Ha  affermando che non c’è una fase terminale della vita, c’è una fase in cui ci rendiamo conto di una patologia , ma in realtà“ s’ inizia a morire iniziando a vivere”.  Riferendosi all“ antropologia del soprannaturale” come l’ha chiamata Sturzo, ha  spiegato che non c’è nulla di più laico del soprannaturale. Per laicità s’intende vedere la realtà per quello che è non  per quelle rappresentazioni che la colgono solo in forma parziale. La terza provocazione è stata la domanda : “ cosa è la vita”? La vita è un mistero.Le varie scienze la studiano , ma non la comprendono.  E’ seguito l’intervento della  dr.ssa Paola Ponton  che ha portato l’esperienza del suo essere in sanità nella società odierna, con grandi sfide  che sono  legate al vivere e al morire soli,  fisicamente, emotivamente, spiritualmente, soli  in non luoghi. Dagli anni 50 ad oggi l’avvento della tecnica, della biomedicina, delle biotecnologie hanno cambiato la nostra vita e ci offrono  varie possibilità per nascere e per morire, nella scelta del luogo e delle modalità con  varie capacità d’intervento nelle acuzie. A livello culturale e sanitario non si è però entrati nella logica di gestire le cure delle malattie cronico degenerative che oggi per molti rappresentano un lungo periodo di vita. Come poter  vivere dal primo all’ultimo istante  della vita   con consapevolezza? E’ un lavoro che ciascuno di noi deve fare con se stesso per scoprire la propria identità costituita da una storia personale e familiare , di valori, principi , e costruire la propria biografia. Anche in medicina si sta recuperando il concetto di biografia rispetto a quello di biologia: non si hanno solo corpi ma persone con una propria biografia che si sedimenta anche nel corpo. E’ solo il senso e il significato che parte da noi stessi che può rispondere ai vincoli o alle offerte della cultura contemporanea.

Daniela Vidoni